Storytelling? Chi?

Ma ve lo ricordate lo Storytelling?

C’era una volta, non molto tempo fa, lo storytelling.
Ci sono stati anni e anni in cui sembrava che lo storytelling fosse l’unica cosa che valesse la pena fare in ambito di comunicazione e ogni copywriter era “storyteller” nella bio.

Ce l’hanno infilato come si mette la verdura nei piatti dei bambini e sembrava non dovesse mai perdere importanza. Però, attualmente di storytelling non si sente parlare quasi più. Cosa è successo?

Partiamo da capo: cos’è lo storytelling?

Scomodo il dizionario Oxford Languages per una definizione che mi pare calzante e chiara:


L’arte del raccontare storie impiegata come strategia di comunicazione persuasiva, specialmente in ambito politico, economico ed aziendale
(
Def Oxford Languages)

Quindi, quando parliamo di storytelling, non parliamo semplicemente di “raccontare storie”, ma parliamo di una strategia comunicativa. Raccontiamo storie non per il piacere di farlo, non per la sete di informazioni, ma per arrivare ad un obiettivo, che può andare dal consenso “generico” alla vendita. 

Quando nasce lo storytelling?

La domanda può avere molti significati (mi rendo conto di averla scritta io), ma la preciserò dicendo: “quando abbiamo iniziato a riconoscere lo storytelling come metodo di comunicazione persuasiva?” Ok, posta meglio.

Chi se ne intende, come ad esempio lo scrittore francese Christian Salmon che ci ha proprio scritto il libro Storytelling. La fabbrica delle storie, usa come punto di partenza del fenomeno, che poi si è allargato a macchia d’olio, la campagna elettorale di Barack Obama nel 2008. Non sono stati né Obama né il suo team a inventare lo storytelling, ma forse è stata la sua vittoria a far vedere “alla massa” il potere di una buona storia (cito in merito uno dei miei libri preferiti, Novecento di Alessandro Baricco che scrive: “Non sei fregato veramente finché hai da parte una buona storia, e qualcuno a cui raccontarla”).

Così come il candidato alla presidenza ha creato intorno alla sua storia una narrazione capace di ispirare, immedesimare, creare consenso, allora anche aziende e agenzie hanno iniziato a volere una fetta di quella torta.

Immagine meme in cui si vedono due Obama, uno dà un premio all'altro e sotto il secondo Obama c'è la scritta "lo storytelling"

Benissimo Chiara, bella lezione di storia ma dove vuoi arrivare?

Quando oggi diciamo che “lo storytelling è morto” non diciamo che non raccontiamo più storie, ma che abbiamo dovuto imparare a farlo in modo diverso. E quel modo lì non lo chiamiamo più storytelling.

Lo chiamiamo “ecco come ho raggiunto questi risultati”, lo chiamiamo “5 consigli per avere successo nella vita”, lo chiamiamo come un contenuto fruibile nel tempo di una pausa pubblicitaria su Youtube. La verità è che le storie un po’ romanzate, che vogliono ispirare, che ci sembrano un po’ impalpabili non fanno più presa. C’è una sfiducia generale che rende una narrazione di questo genere più difficile da far attecchire.

Lo stesso Christian Salmon ha recentemente pubblicato un libro che descrive questo fenomeno: Fake, come la politica mondiale ha divorato sé stessa.

È sempre colpa dei social

Se possiamo indicare il mostro, nella nostra società, tendenzialmente ci gireremo verso i social network. Anche in questo caso hanno avuto il loro ruolo. Perché hanno reso possibile una condivisione meno patinata (anche se, attenzione, quasi tutto è costruito) e trasformato la comunicazione in qualcosa in qualche modo più tangibile, più vicina ed esponenzialmente più corposa. La risposta alle domande arriva in formato video di 30 secondi, l’ispirazione prende la forma di un carosello di citazioni, un racconto è diviso in 12 pubblicazioni come se fosse una serie tv. Non funzionano più le storie che si prendono il loro tempo per essere raccontate, ma fanno presa lo shock, lo sgomento, i “fatti sputati”.

Immagine creata con AI per l'articolo "mi serve lo storytelling" che mette a confronto un vecchio tomo con titolo storytelling e uno smartphone con icone social.
Immagine (unica utilizzabile) creata con AI inserendo questo articolo come prompt

Come mi approccio io allo storytelling

Personalmente, e forse non è emerso molto da questo articolo, sono un’enorme amante dello storytelling. Trovo nello spazio in cui raccontare una storia un luogo in cui si possono inserire messaggi, informazioni e renderle quasi universali. Ma nello stesso momento sono conscia che lo storytelling non serve a chiunque, quindi, per dare un twist di concretezza a questo articolo:

Mi serve lo storytelling?

Probabilmente sì se:

  • Prezzo e valore nominale del prodotto non coincidono: pensiamo ai brand di lusso, ai prodotti che hanno un prezzo che comprende non solo la qualità del prodotto ma “tutto ciò che ci gira attorno” (es: Apple è un’azienda che utilizza moltissimo lo storytelling nei suoi spot).
  • Si tratta di un servizio o un’esperienza: come ti spiego qualcosa che non si può toccare o misurare? Come ti spiego qualcosa che sarà un ricordo nella tua vita? Ho bisogno di fartelo provare prima emotivamente, magari con una “storia”.
  • Se il fatto che sia io a offrire un prodotto o servizio è un vantaggio competitivo: qui si parla di valori e approccio. Se il vantaggio competitivo che offro deriva dalla mia esperienza, e da quello in cui credo, ho bisogno di aiutarti a vederlo, e per farlo dovrò raccontartelo.

Probabilmente no se:

  • Il prezzo del mio prodotto equivale al suo effettivo valore o è facilmente misurabile: pensiamo ad un’azienda che vende macchinari utensili, cerotti, magneti per tende. Non ho necessità di costruire una narrazione, ma sicuramente avrò bisogno di spiegare un valore intrinseco come ad esempio la funzionalità.
  • Il mio prodotto o servizio è una necessità: immaginate lo storytelling di una farmacia, di un ospedale. In linea di massima ci recheremo sempre da quello più vicino e comodo, quello specializzato, ma non perché ci è stata raccontata la sua storia, ma perché ne abbiamo bisogno.

La divisione fatta qui sopra è una ripartizione generale, ma sappiamo bene che per ogni regola c’è un’eccezione. Per questo, quando mi approccio ad una nuova realtà, inizio sempre da un’analisi. Che sia per strutturare insieme qualcosa di duraturo, sia per una “semplice” consulenza, mi piace essere concreta e non offrire servizi se non strettamente necessari (questo approccio strategico è il motivo per cui non scriverò mai questi articoli da uno yacht). Sono dell’idea che i pacchetti di comunicazione preconfezionati, one size fits all, siano esattamente come la loro controparte in formato vestito:
stanno bene a 2 persone e si adattano, male, a tutte le altre.

Vuoi sapere come viene percepita la tua realtà dal tuo pubblico? Se lo storytelling può fare per te o hai bisogno di un piano di comunicazione basato su altre strategie? Posso aiutarti.

Scrivimi a copy@chiarazonta.it e parliamone!


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